COME FARSI NOTARE NEL LOOP DEL “MESSY MIDDLE”

Ho bisogno di un paio di scarpe da trekking. Cerco su Google. Clicco sull’annuncio più pertinente. Atterro sullo shop online di un noto negozio di sport outdoor, Peak Pioneer (nome di fantasia). Faccio un giro tra gli articoli disponibili. Noto un paio di scarponi, modello tecnico e impermeabile, non per professionisti, qualità media, brand conosciuto: potrebbe andar bene per le mie esigenze. Corro a leggere le recensioni: per lo più buone, dalle 3 alle 5 stelle, ma un tipo si lamenta delle vesciche dopo il primo utilizzo. Decido di temporeggiare. Entro su Facebook, qualche scrollata distratta, la mia attenzione viene catturata dall’inserzione di un competitor, Zenith Zest (nome di fantasia) ‘Amante del trekking? Scopri questi 5 percorsi turistici da fare in Lombardia’. Entro, chiudo il pop-up, leggo veloce, esco. Dopo qualche giorno, una nuova inserzione di Zenith Zest mi raggiunge su Instagram: è un video UGC (User Generated Content) molto artigianale in cui un ragazzo in tenuta sportiva spiega perché ha scelto proprio quelle scarpe da trekking. Clicco e atterro sul sito: le scarpe sembrano più tecniche, hanno una fascia di prezzo leggermente più alta rispetto alle prime, ma le recensioni sono tutte ottime. Decido di iscrivermi alla newsletter: mi riserveranno uno sconto del 20% sul mio primo acquisto. Tuttavia sta per iniziare una call con un cliente abbandono il carrello. 

Il clima inizia ad essere piovoso e le scarpe da trekking non sono più una priorità. Continuo però di tanto in tanto a leggere gli interessanti approfondimenti che mi arrivano via mail da Zenith Zest: ‘Guida al trekking: 8 consigli per principianti’ e ‘Come prevenire le vesciche durante le escursioni’. Nel frattempo la Peak Pioneer attiva un’inserzione di retargeting e mi raggiunge su Meta con un carousel di prodotti. Decido di visitarne la pagina, lascio il ‘Segui’ e scopro che ha un punto vendita vicino casa mia. Vado in negozio, compro abbigliamento tecnico a buon prezzo ma non le scarpe. È tempo di Black Friday e torno a esplorare su Google l’universo delle scarpe da trekking alla ricerca dell’offerta migliore. Balzo da un sito all’altro, valuto, confronto. Infine, arriva l’email che mi conduce all’agognato acquisto: Zenith Zest scrive che è un’offerta limitata alla collezione trekking, sconto esclusivo del 40% per pochi giorni, spedizione gratuita in tre giorni. Entro sul sito, butto di nuovo un’occhiata alle recensioni per confermare la bontà della mia scelta, vedo che della mia misura sono rimaste solo 10 paia, mi affretto, aggiungo al carrello, inserisco dati di spedizione, compro!

 
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Il tribolato viaggio che ho appena raccontato è solo un ipotetico esempio di “messy middle”: un nuovo modello di customer journey teorizzato da Google secondo cui l’utente viene esposto a un grande e diversificato numero di touchpoint, dal momento del trigger, ovvero quello in cui la persona decide di cercare un determinato prodotto o servizio, al momento della scelta e dell’acquisto. Un labirinto di input, inserzioni e contenuti in cui il consumatore prende decisioni in modo caotico, rimbalzando costantemente da un media all’altro e spesso anche dall’online all’offline.

 

Che cosa succede nel messy middle

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Viene così messo in discussione il modello tradizionale del funnel: quello secondo il quale l’utente seguirebbe un percorso lineare a imbuto Awareness > Consideration > Conversion.

La realtà è molto più complessa: al centro dei nuovi modelli decisionali regna il caos e i confini tra il momento del trigger e quello dell’acquisto sono molto più sfumati. Il messy middle è una sorta di loop in cui gli utenti si muovono costantemente tra due attività principali: l'esplorazione, un'attività espansiva, volta ad acquisire nuove informazioni, e la valutazione, un'attività più mirata di selezione, volta a valutare le opzioni disponibili. Le persone rimbalzano continuamente tra queste due fasi, ripetendo il ciclo tutte le volte necessarie per arrivare a una decisione di acquisto finale.



I 6 bias cognitivi che guidano le scelte

Ci sono tuttavia dei bias cognitivi, già presenti nel nostro cervello pre-digitale. che guidano questo apparente caos. Quelli decodificati da Google, in collaborazione con gli esperti di scienze comportamentali di The Behavioral Architects, sono sei:

-         Bias di autorità: una distorsione inconsapevole del nostro comportamento in base alla quale tendiamo a uniformare i nostri giudizi e le nostre scelte con chi riteniamo più autorevole di noi.

-         Potere della gratuità: qualsiasi cosa gratuita, sia materiale che immateriale (ad esempio una guida digitale), può rappresentare un ottimo magnete. Il che non vuol dire ovviamente svendere i propri servizi.

-         Bias di scarsità: classico principio economico secondo cui il valore di un oggetto o di un servizio aumenta nel momento in cui è limitato nel tempo o nella quantità. Easy!

-         Prova sociale: hai presente le recensioni?

-         Euristica di categoria: è una scorciatoia mentale. Tendiamo, in sintesi, ad attribuire il prodotto ad una certa categoria già conosciuta in base a poche parole chiave.

-         Potere dell’immediatezza: se posso averlo subito anziché attendere, ti lascio la mail!


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Ti suonano familiari? In effetti, non è la nostra mente ad essere cambiata, ma la tecnologia disponibile.

 

Come emergere dal caos
Nessuno ha davvero la bussola per orientarsi in questo caos e controllare tutto il processo, ma oltre a tenere ben a mente i principi delle scienze comportamentali prima esposti, esistono alcune coordinate che oggi più che mai diventano fondamentali per emergere e farsi scegliere dai clienti:

-         Una solida strategia di content marketing: a poco serve accendere campagne su Meta o su Google se non c’è una forte strategia organica e di content nurturing alla base, che garantisca la presenza e il posizionamento del brand quando gli utenti sono nella fase di esplorazione.

-         Attivare una strategia multicanale: in virtù di quanto abbiamo visto con il messy middle, è cruciale intercettare l’utente su più touchpoint per arrivare all’acquisto.  Ovviamente, per avere risultati ogni canale va presidiato con coerenza, costanza e strategia e non bisogna ragionare a compartimenti stagni, ma far “comunicare” i vari touchpoint.

-         Costruire assets: un sito moderno costruito con i moderni standard di user experience, un blog che sostenga la Seo e crei autorevolezza, un database di contatti profilati su cui fare remarketing, sono assets imprescindibili ancora oggi.

-         Avvicinare il momento del trigger a quello dell'acquisto in modo da ridurre il tempo di esposizione dei tuoi prospect ai competitor, ad esempio tramite strategie di retargeting e remarketing.